UNO SCRITTO A VIRGILIO SCAPIN
Ho provato per molti giorni a cercare Virgilio Scapin per le vie di Vicenza e fra le colline che animano il paesaggio che la circonda., ma non riesco mai a trovarlo da solo. Ogni volta c’è qualcuno con cui parla, qualche altro che lo circonda, che gli chiede consigli, suggerimenti. Una donnina devota che sul far della sera si fa consigliare un romanzo per vincere le tentazioni e la solitudine delle tenebre. Se allora cerco di portarlo in primo piano, di raccontarlo in tutta la sua grandezza, con passi felpati da gran monsignore si infratta, lasciando dietro a sé l’eco della sua felice presenza.
Per raccontare Virgilio, e vincere la tristezza per la sua assenza, mi viene meglio usare il linguaggio convenzionale della fisica, fissando in lui un punto da cui si irradiano vettori, forze che spingono altri corpi che vengono messi in moto verso altri campi di forza. E si va così disegnando nel mio pensiero un articolato sistema di persone, di cui, mi accorgo, il primo mobile, di dantesca e paradisiaca memoria, è proprio lui.
Essere entrati nel campo di forze di Virgilio ha significato, per chi ha goduto di questo privilegio, vivere un’esperienza di gioiosa amicizia, di rispetto per la saggezza dell’antica cultura contadina, di amore per i libri e la parola scritta, di considerazione per i semplici e arguto scherno per i falsi profeti, per i tromboni sempre troppo numerosi, dissolti dalla sua olimpica arguzia nel colloquio diretto e dai folgoranti epitaffi con cui animava i pantagruelici conviti che lo avevano per maestro.
Virgilio ha saputo fare della vita un teatro e un racconto, di cui egli è stato il primo interprete, assieme ai suoi personaggi, scelti con rabdomantica precisione, nel mondo della realtà e in quello della fantasia e spesso sovrapposti gli uni agli altri, usando come unico criterio di giudizio la sua straordinaria umanità e la sua insofferenza per l’ineleganza e l’ipocrisia.
E allora come guardare senza imbarazzo Pina e Firmino Miotti, persone-personaggi, dopo aver letto il racconto La Fiora? E come non pensare con rispetto ad un piatto di baccalà, giunto quasi per miracolo sulle nostre mense, grazie alla eroiche gesta della Venerabile Confraternita del Baccalà e del suo Priore Scapin? E come non finire col giustificare la fatica da muli dei Veneti, solo di recente e forse non del tutto affrancati da miseria, framassoni e pretoni reazionari così vicini alla loro gente, quali i monsignori Scotton di Breganze, fatti rivivere ne La giostra degli arcangeli?
Il fuoco sacro di Virgilio è l’amore per la vita, sostanziato da raffinata cultura e schiettezza umana, distillato nella sua aggettivazione narrativa, in cui il sermo familiaris si fa evocativo grazie all’inserimento di gemme lessicali cariche di indefinito leopardiano.
Nella sua vita fatta di letteratura e nella sua letteratura fatta di vita al centro c’è il valore supremo dell’amicizia, che si nutre di piccoli gesti molto scapiniani, quali sottrarre dalla cucina di un ristorante una terrina di mature ciliegie da mangiare in compagnia di un’amica, mentre l’indulgente ostessa finge di non vedere per condividere con nostalgia una fanciullesca trasgressione. O uscire da una cantina con in mano una bottiglia di profumato torcolato, mentre il vignaiolo si mostra intento ad altro lavoro.
Amicizia sostanziata di complicità buone, per vivere in modo leggero e profondo la vita …
Virgilio, un incomparabile amico, capace soprattutto di cambiarti la vita.
Tiziana Agostini
(Pio Serafin)